Wireless. Senza fili.
O se preferite (visto che la s dopo wire non
c'è), senza filo.
Non più ad un filo, nemmeno a un filo, non più,
la nostra vita, individuale e sociale, si appende , ma ad impalpabili onde da
cui tutto il nostro mondo, basato sul flusso d'informazione, dipende.
Ogni attimo, attraverso l'etere, per andare
magari a depositarsi nei server della NSA, transita tutta la nostra vita di
esseri oltre il bionico, oltre i transformer: per fronteggiare le esigenze
tiranniche della modernità dobbiamo moltiplicare all'infinito le appendici
virtuali, le memorie elettroniche, senza le quali la nostra società e la nostra
vita semplicemente si arresterebbero. Immagini, video, conti bancari, speculazioni
sulle valute e i titoli, carteggi d'amore, messaggi politici, archivi, musica,
conferenze, spionaggio bellico e industriale, tutto passa incessantemente per
la rete e si diffonde senza nemmeno più bisogno di cavi, di fili.
Sempre che tutto funzioni, sembra darci un
senso di enorme potenza. Guardiamo meravigliati la lingua del camaleonte
raggiungere in una frazione di secondo la vittima designata. Ma quanto più
rapido e quanto più lontano saetta il nostro tentacolo virtuale correndo nella
rete contemporaneamente, se lo vogliamo, verso innumerevoli destinatari di una
list potenzialmente infinita?
Sempre che, come ho detto, tutto funzioni.
Ma così non è. Sentite un po' questa.
Abu Dhabi, terminal 2. Proveniente da San Paolo
aspetto il volo per Manila. Dopo aver verificato con lo smartphone l'esistenza
di una connessione wireless gratuita decido di accendere il mio portatile per
una connessione più rapida e sicura. Molte cose devo fare. Pagare il mio
affitto con l'internet banking, controllare mail di lavoro, contattare amici.
Ed ecco la sgradevole sorpresa: disk error. È già la seconda volta che un volo
mi manda in malora un computer. Ve lo consiglio caldamente. Usateli men che
potete in aereo i vostri gioiellini: risentono - me l'hanno confermato sapientoni
dello smanetto - dell'altitudine, o meglio, degli sbalzi pressori, e infartuano, poveretti. Cioè, poveretti voi.
Ossia, nel caso specifico, poveretto me.
Passato il primo comprensibile quarto d'ora di
sconforto, mi rimbocco le maniche: decido di scaricare outlook, l'applicazione
con cui gestisco le mail e dove deposito molti archivi, sul cellulare. Fatta
l'operazione (con qualche difficoltà vista la lentezza della connessione)
digito username e password per l'accesso. Dopo qualche secondo, appare una
finestra che mi avverte: sto accedendo da fonte sconosciuta, pertanto il mio
account per ragioni di sicurezza sarà inaccessibile finché non avrò confermato
di esserne effettivamente il titolare. La procedura prevede normalmente l'invio
di un codice tramite sms ad un numero a me a suo tempo deputato allo scopo.
Ovviamente brasiliano, visto che in Brasile risiedo. Peccato che si tratti
dell'unico paese, che io sappia, a non avere un roaming automatico. Se volete
attivarlo, prima di partire dovete contattare il serviço de atendimento ao
cliente e comunicare i paesi in cui vi recate. Ora, a parte il fatto che per le
Filippine, paese verso cui sono diretto, il servizio non c'è (boh), in ogni
caso gli scali non li avrei dichiarati. Insomma, mettetela come volete, questa
opzione è impraticabile. Ce n'è fortunatamente un'altra: farsi inviare il
codice a un indirizzo mail alternativo. Dunque opto per questa soluzione.
Per non rischiare di incorrere nel medesimo
infortunio, evito di farlo tramite lo smartphone e decido di servirmi di uno
dei computer disponibili nella hall del terminal. Accedo dunque al sito yahoo e
digito il mio nome utente e la mia password nelle apposite finestre e attendo
fiducioso che la clessidra mi schiuda l'accesso al mio affezionato universo virtuale.
Ma cosa ti vedo, ahimè?! Un altro comunicato il quale, leggermente diverso dal
precedente, mi ammonisce che, avendo tentato l'accesso da un luogo inusuale, la
mia posizione mail Yahoo rimarrà bloccata se non consentirò la verifica della
mia identità. Come? Beh, come sopra, ovvero o tramite sms al cellulare
altrettanto irrealizzabile del suo gemello anteriore, oppure tramite invio di
messaggio di posta elettronica a un provider di riserva. Il quale però #*s#*!!!
è il medesimo che mi ha bidonato all'inizio di questa avventura.
Ma, direte voi, ci sono altre procedure
d'emergenza. Si, ma la connessione è troppo lenta e la procedura si interrompe
continuamente, cosa che il sistema legge come tentativo d'intrusione bloccando
tutto. La procedura d'estremis,d'altronde, ?mi chiede informazioni impossibili
come gli indirizzi di alcuni contatti e le mie vecchie password (e chi li
ricorda?).
Insomma, eccomi fuori connessione, abbandonato
ai margini del flusso informatico proprio come Robinson in un'isola fuori dalle
rotte marittime. Desconectado. Derubricato. Disarchiviato. De-indirizzizzato.
Privo delle mie protesi e delle mie proiezioni, senza le quali è come se avessi
perso la memoria, il mio passato, la mia storia, i fili che mi collegano al
cosmo, e mi trovo nel caos. Abbandonato. Anzi, privo, come sono, dei miei arti
virtuali, asociale e senza identità.
Il (senza)filo che mi teneva appeso ai miei
simili e alla mia "memoria", cioè in fondo a me stesso, si è reciso.
E se un giorno, come AL di Odissea 2001, il
General intellect che a cui siamo tutti appesi decidesse di recidere il
wireless? In un attimo sarebbe la babele.
La vita vale un wireless.