Già postato? Non saprei...un
testo del 2004 influenzato dalla lettura di un romanzo di A.Vitali.
Toh! Mah, guarda te, la Tecla! Mi
son detta, stupefatta. Che ci fa qui in piazza Ferretto. Dovrebbe stare in quel
di Bellano, nel paese di Andrea Vitali. L’ho incontrata attorno a mezzodì.
Passava davanti al negozio di Gentiloni, dove io sbirciavo dalla vetrina per
capire se sugli scaffali ci fosse stata la cera Fila per il cotto, che cercavo
da tempo. Indugiavo, non avevo voglia di entrare. Ed è stato per questo che
l’ho incontrata mentre svoltava l’angolo. Armeggiava con l’ombrello pieghevole,
che sarà comodo perché ci sta nella borsa, disse, rivolta a me, ma non si
indovina mai lo scatto per aprirlo. Tu premi il bottone, ma si apre quando
vuole lui e intanto la prendi.
Posso aiutarla, le ho chiesto. Ma
no, grazie. Tanto devo arrivare alla fermata del Venezia, in via Poerio, due
passi e ghe sbicio anca all’ombrela,
disse in veneziano. Ma l’accento tradiva la sua origine meridionale. Una Tecla calabrese,
contadina del podere strappato al bosco, sull’altopiano silano, dove sua cognata
le cura la piccola proprietà e ogni anno la rifornisce dei meravigliosi frutti
di quelle terre rosse che solo poggiando lo sguardo si muove il languore per i loro
doni. Io, signora, le confessai, provo il desiderio di nutrirmi della vostra
terra rossa. Ne metterei in bocca delle manciate. Devono essere ricche di ferro,
minerale di cui sono sempre stata carente. Ma che mangiare terra, si schernì,
avendomi intesa alla lettera, di limoni, di fichi d’india, di olive e di fichi
nostrani, di mele e tutto il resto, le dico, tutto del ben di Dio che ci
cresce: è di quello che bisogna nutrirsi! E il salamino piccante… disse
illuminandosi in volto, lasciamo stare!
Aveva voglia di chiacchierare
quel donnino minuto dal viso grinzoso coronato da capelli brizzolati e crespi.
Erano trattenuti da un foularino di lanetta. Un triangolo di tessuto esiguo che
le lasciava fuoriuscire due cespi di folta capigliatura dai lati. Uno
scheletrino di donna con il ventre incavato ed il dorso un po’ ingobbito, più
per la mancanza di ciccia che per difetto scheletrico. Gli occhi vispi,
profondi, e sapienti, divenuti con il tempo diffidenti, quel giorno, in quel
momento, erano ridenti, fiduciosi.
Non faceva puff come l’autentica
Tecla. Lei respirava bene, solo muoveva nervosamente il capo quando si agitava.
Sì, mostrava ansia, perché aveva voglia di chiacchierare e devo essere stata
per lei un’occasione da non perdere. Le ho infuso fiducia e si è trovata di
fronte ad una confidente inaspettata. La qualità più rilevante era il mio
anonimato. Una sconosciuta alla quale aprirsi per svuotare l’animo
dall’ingombro di tanti soprusi, e che poi sarebbe svanita nel nulla conservando
i suoi segreti intatti. Segreti che aveva bisogno di condividere per sentirsi risollevata.
Ma segreti che dovevano assolutamente rimanere tali.
Non le confidai, io, che ho la
passione dello scrivere. E, in quel momento, non pensavo certo che mi rimanesse
così presente, un carico pendente: un sovraccarico di notizie difficili da
tenere celate, dentro.
E forse un giorno…
Cara Nou, interessante questo vecchio post, dialoghi sempre molto interessanti.
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso carissimo. Scusami del ritardo con cui rispondo. Ti invio un grande abbraccio e un sorriso anch'io!
EliminaA presto, Nou
Io non l'avevo letto, un'occasione per leggerlo ed apprezzarlo.
RispondiEliminaGrazie Daniele :-)
EliminaAbbraccio
Nou
:) Bellissima anche la nuova foto quassù! Dov'è?
RispondiEliminaCiao Cristiana, si tratta di Refrontolo (BL), Il mulinetto. Un luogo fatato.
EliminaAbbraccio
Nou
Si vede che hai la passione per lo scrivere. Bellissimo post!
RispondiEliminaGrazie Simona. Ho scoperto il piacere di scrivere in tarda età. Non mi dedico più molto, ma quando lo faccio mi fa sentire bene.
EliminaIl dialetto è importante, quando sei sradicato dalla tua terra è allora che devi dar più forza al tuo dialetto perché se perdi anche quello non sai più chi sei. E allora mi fanno un po' pena quelli che provano a parlare un dialetto diverso dal loro, non ci riusciranno mai e cadranno sicuramente nel ridicolo. Nou, bonanott e cerca da durmì ben.
RispondiEliminaAbbiamo bisogno di appartenenza e certamente il dialetto ne è una forte radice. Poi apparteniamo alle esperienze comuni vissute con le persone del vicinato, con i coetanei. Apparteniamo anche a tutte quelle persone che abbiamo incontrato sia pure solo per breve tempo e che le nostre anime si sono capite.
EliminaUn abbraccio, ciao Nou
Anch'io non lo avevo letto (oppure non me lo ricordavo più). In tutti i casi è molto bello. Concordo con il commento qui sopra riguardo il dialetto.
RispondiEliminaUn abbraccio e alla prossima
Scusa, sono ancora io.
RispondiEliminaMolto bella la foto in testa al blog. Dove è il posto della foto?
Ciao
E una mia foto scattata durante una gita domenicale a Refrontolo (BL). L'edificio è un un antico mulino ad acqua e abitazione del mugnaio che oggi conserva le caratteristiche di un tempo. La cascata non è sempre così copiosa, noi l'abbiamo vista nel massimo (circa) della portata del torrente Lierza. Luogo molto bello!
EliminaCiao, un abbraccio
Nou
Attendo con piacere il prima e il dopo di questo incontro in Piazza Ferretto, la Tecla calabrese che parla in veneziano e mangia in calabrese è irresistibile.
RispondiEliminaCiao
P.S. Bello il molinetto della croda ;-)
Ci sono dei personaggi incredibili che possiamo avere la fortuna di incontrare. Questi incontri mi lasciano una piacevole sensazione di meraviglia, di magia, come se le nostre anime di fossero date appuntamento.
EliminaUn abbraccio ;-)